Il Covid-19 ci ha improvvisamente fatti diventare tutti esperti di medicina e così temi complicati e difficili anche per chi è competente rischiano di essere banalizzati. È il prezzo da pagare per una spettacolarizzazione della scienza da scoop quotidiano. Ma ricerca e medicina hanno tempi che non sono da bar sport. Un esempio paradigmatico ci viene dall’utilizzo di idrossiclorochina e clorochina come terapie antivirali. I due farmaci sono simili ma non identici, la clorochina ha maggiori effetti collaterali, sono utilizzati per curare la malaria e anche alcune malattie reumatologiche per la loro azione «immunologica» e antinfiammatoria.
Sulla scorta di alcune ipotesi e di un piccolo studio francese su solo 26 soggetti, si è però fatto un salto a due piedi sdoganando la loro diffusione praticamente come farmaci da banco anti-Covid. Una ricerca pubblicata or ora sul
New England Journal of Medicine ridimensiona molto il possibile ruolo terapeutico dell’idrossiclorochina, il più utilizzato di questi composti. In un ospedale di New York sono stati ricoverati in queste settimane 1.446 pazienti, 70 sono deceduti nelle prime 24 ore e non sono stati quindi considerati, dei restanti 1.376, 811 sono stati trattati con questo farmaco mediamente per 5 giorni e 565 no; complessivamente 1.025 soggetti sono infine stati dimessi. L’obiettivo di questo lavoro scientifico era di valutare se la terapia con il Plaquenil, nome commerciale del prodotto, influenzasse il tempo che intercorre per lo sviluppo di un’insufficienza respiratoria grave con necessità di intubazione.
Lo studio aveva un disegno osservazionale, non si trattava quindi di una ricerca condotta secondo i sacri crismi dei protocolli più accurati, ma la situazione d’urgenza non ha permesso di fare di più. Un sottogruppo di pazienti che assumevano l’idrossiclorochina è stato poi trattato anche con l’azitromicina, l’altro farmaco di cui si discute molto in questo periodo. Bene, in nessun gruppo dei trattati con il Plaquenil, da solo o in associazione, si è registrato un beneficio. I ricercatori concludono il loro lavoro precisando molto onestamente i limiti di uno studio perfettibile nella sua progettazione e sottolineando come solo studi ben disegnati potranno fornire una risposta definitiva sull’utilità dell’idrossiclorochina come anti-Covid. Nell’attesa, scrivono gli autori, questo farmaco non andrebbe prescritto perché non sappiamo se faccia bene ma invece sappiamo che ha degli effetti collaterali, ad esempio è stato recentemente necessario interrompere un protocollo che avrebbe dovuto valutare 440 pazienti da trattare con questo farmaco a causa del frequente manifestarsi di alterazioni elettrocardio-grafiche. Insomma la scienza è qualcosa di difficile che non permette superficialità e non si può basare su impressioni o dati approssimativi.