La
fase due è ormai iniziata da qualche settimana e
procede con ordine, i cittadini, con qualche circoscritta eccezione, sono attenti e cercano di tornare alla normalità senza dimenticare la sicurezza. Anche gli esercenti, dai negozianti ai ristoratori, ai parrucchieri, si sono organizzati con molto maggiore zelo di quanto forse ci si sarebbe atteso.
È una ulteriore controprova della
solidità di questa nazione che nell’immensità della tragedia che l’ha travolta si è dimostrata fatta di uomini e donne responsabili, civili, solidali.
Ma se il Paese reale ha dato gran prova di sé, altrettanto non è stato e non è per la sua classe dirigente e politica,
incapace di un progetto di ristrutturazione e ripresa dalla crisi che oggi è soprattutto sociale e economica. Abbiamo assistito, dopo una breve parentesi dettata dalla necessaria unità nell’emergenza, a discussioni divisive e sterili, prive di qualsiasi reale progettualità per una nazione che deve ritrovare un senso di sé e del proprio futuro.
Il ritorno al passato non è possibile dopo quello che è stato, è la tentazione più forte perché quello che è conosciuto rassicura di più rispetto all’incertezza di nuove sfide, ma l’impatto economico della crisi è troppo drammatico per pensare di risolverla solo con interventi che sembrano fragili tamponi.
Anche chi non è esperto di economia inorridisce all’idea degli
oltre 9 punti previsti di perdita del Pil mentre lo spread schizzerà alle stelle. Ci sono state
molte colpe nella gestione dell’emergenza sia a livello governativo che in alcune regioni, come la Lombardia, sebbene sia ingiusto e troppo comodo scaricarle solo sull’assessore Gallera, responsabilità e errori tecnici e politici devono essere messi a fuoco perché non si ripetano nel prossimo futuro, ma questo non deve diventare una resa dei conti stile sfida all’O.K. Corral. L’Italia non ha bisogno di questo.
Ora che l’emergenza sembra più lontana e che
il virus è meno aggressivo (
per ragioni che ancora la scienza non riesce bene a spiegare ma che sarebbe peraltro molto utile comprendere), è venuto il tempo per la rifondazione di un Paese che fatica a trovare la sua dimensione, con una classe dirigente lontana e spesso più presa dai propri interessi che da altro, e una ricchezza di professionalità e competenze invece troppo a lungo sprecate.
Basti l’esempio di queste settimane dato dai medici e dagli infermieri del Servizio sanitario nazionale, patrimonio fino a ieri dimenticato,
segnato da anni di tagli economici, di posti letto e personale, oggi finalmente riconosciuto ma ancora in attesa di un nuovo piano di rilancio che tenga in conto tutte le criticità recentemente emerse.
Anche l’Università in molte realtà ha avuto la capacità di riorganizzarsi rapidamente e efficacemente, da un sondaggio effettuato tra gli studenti dell’Università degli Studi di Milano emerge che l’85% è soddisfatto dei servizi di didattica offerti durante la pandemia.
Non basterà mettere assieme i cocci per ricostruire, abbiamo bisogno di lungimiranza e capacità strategiche se vogliamo che i tricolori appesi alle finestre in un grande afflato di solidarietà nazionale non diventino che uno sbiadito ricordo di un Paese che nella tragedia ha saputo vedersi e riconoscersi per poi perdersi definitivamente.
Fonte: Corriere della Sera (online)