«Il momento più difficile è l’inizio, quando arrivi, suoni alla porta, ti presenti come uno sconosciuto che è venuto a trovarli, poi è tutto più semplice». Davide è un mio amico d’infanzia, ci lega l’amicizia profonda delle nostre famiglie nata in altri tempi e in altri luoghi, accomunate dalla diaspora. Lui ad Auschwitz ha perso i nonni e la zia che non ha mai conosciuto. La zia Violetta è un ricordo sempre vivo, come se non fosse morta nel 1944, appena arrivata nel campo di sterminio, a 20 anni appena compiuti, partita da quel tristemente noto Binario 21 della Stazione Centrale di Milano.
Davide si è trasferito a vivere in Israele alla stessa età che aveva allora sua zia e siamo sempre rimasti in contatto, in questi giorni di guerra ci sentiamo un po’ più spesso. E così, durante una delle nostre telefonate, mi racconta che passa le mattine andando a fare visita alle famiglie che
il 7 ottobre hanno perso qualcuno. Mi spiega che si sono organizzati in tutto il Paese con una chat di WhatsApp e si dividono chi andare a trovare. A volte, mi dice, arrivo e scopro molta gente che è già lì, allora torno indietro perché non c’è «bisogno» del mio contributo, altre volte come stamane sono da solo di fronte a una coppia di ebrei russi, trasferitisi da non molto in Israele, ancora con poche radici locali, che ha perso il figlio soldato in un’unità combattente. E con quasi nessuno che viene a confortarli.
Un’altra famiglia gli racconta della figlia che era a quell’ormai tragicamente famoso
rave party con il fidanzato e alcuni amici, hanno capito che qualcosa di terribile stava accadendo e sono scappati su due macchine che si sono poi casualmente divise a un bivio stradale che separava la vita dalla morte. Gli amici sono andati a destra e si sono salvati, lei e il fidanzato hanno deviato a sinistra e non sono più tornati. Davide racconta di un’altra famiglia che ha perso la figlia nel tragico party, e dopo essere stato da loro per circa mezz’ora ne è uscito, mi dice, rafforzato nel vedere la loro unione nell’affrontare un dolore così terribile. La fede aiuta e loro per fortuna sono credenti.
Torna a casa sua, dopo avere girato da un posto all’altro, per sentire amici, tenere i contatti con quelli restati in Italia, come me, e ascoltare le notizie, cercare di capire cosa lo aspetterà domani, quando al mattino andrà a trovare qualcun altro con il suo dolore.
Sergio Harari